domenica 10 novembre 2013

Appunti messicani: El Zócalo , i murales e lo spazio pubblico (parte prima)


Oltre un anno fa visitavo la città di Arezzo e rimasi stupito dal numero di piazze e piazzette presenti in città. Mi dissi anche che lo sviluppo delle città toscane durante il Basso Medioevo doveva essere legato in qualche modo a questo spazio, la piazza, che permetteva alle persone di realizzare delle attività sociali (dal lavoro al loisir) insieme, in comunità.
Ultimamente sono stato in Messico e il tema della piazza come spazio pubblico mi ha interrogato di nuovo, sin dal primo giorno trascorso nella capitale, il DF, come la chiamano i messicani. Il cuore politico e culturale della città e della repubblica messicana si trova nel Zócalo, la terza piazza più grande del mondo, circondata dal Palacio del Gobierno, dal Palacio Nacional e dalla Catedral. Questo spazio è intimamente legato all'identità del paese. El Zócalo è il simbolo del Messico e del popolo messicano e – la cosa più interessante – in quanto tale appartiene al popolo, alla gente. Certo, sui lati ci sono le istituzioni, temporali e spirituali, ma la piazza appartiene al popolo.
La piazza come oggetto di lotta
Ed è per questo carattere simbolico che El Zócalo si trova oggi al centro di conflitti e contese. Infatti, i messicani si stanno mobilitando fortemente in questo periodo. Il partito al potere (Partito Rivoluzionario Istituzionale – PRI; pardon per l'ossimoro) sta infatti varando alcune importanti riforme come quella sulla liberalizzazione delle fonti energetiche (il petrolio dovrebbe passare dalle mani dello Stato a quelle dei privati, da quanto ho capito) o come quella del sistema educativo (che anche si ispira alle più recenti riforme europee di spirito neoliberista). Ma i messicani non ci stanno e los maestros in particolare hanno deciso di protestare e mettersi in sciopero da ben tre mesi (italiano medio, rileggi bene quest'ultima frase: tre mesi, non tre ore). E ovviamente il centro dalla protesta era El Zócalo, occupato. La cosa ha piccato il governo che non si è fatto troppi problemi ad usare le maniere forti. Botte, botte, botte. Di quelle che fanno male. Dandogliele e dandogliele hanno cacciato i maestri dalla piazza (parliamo dei mesi di settembre-ottobre).
Intanto degli uragani stavano per portare la catastrofe sulle coste messicane, ma il governo, intento a reprimere e reprimere, si è – come dire – distratto, sottovalutando i rischi e dimenticando di mettere in atto delle strategie di prevenzione dei danni, che sono stati enormi. Vista la catastrofe, un grande movimento di solidarietà ha attraversato la nazione e il governo ne ha approfittato con una nuova idea: El Zócalo sarà il centro di questa solidarietà e la base per la raccolta di indumenti, viveri eccetera per le popolaizoni colpite dal cataclisma. Per los maestros, evidentemente, non c'è più posto.
Il governo ha riconquistato così la piazza, momentaneamente. Infatti, nel Zócalo era previsto anche un altro evento, la Feria del Libro. Per paura di mollare l'osso, il PRI ha deciso di annullare la Feria per lasciar spazio alla raccolta. Mica male l'idea, che vorrebbe mettere in scacco los maestreos: voler riconquistare El Zócalo avrebbe significato contrastare l'opera di beneficienza messa in atto dal governo.
La voce degli scrittori messicani, come quella di Paco Ignacio Taibo II, si è alzata per dirgliene quattro a quelli lì del governo, obbligandoli a spostare il centro di raccolta in un altro degli immensi spazio della capitale e riconquistando la piazza (degli scrittori che obbligano il governo a ritirare una decisione, che roba!).
Il risultato è che l'inizio della Feria è più o meno coinciso con il mio (nostro, non ero solo) arrivo in Messico. L'atmosfera di una domenica pomeriggio era positiva: tantissima gente, di tutte le età e classi sociali, si aggirava tra i numerosissimi stand di varie case editrici. In più, diversi forum erano organizzati. I dibattiti erano avvincenti. Niente a che vedere con i melensi, noiosi e autoreferenziali festival del libro europei. Già, perché lo scopo principale (e condiviso) di quei dibattiti era di esprimere solidarietà a los maestros e specificare bene che la feria non stava sottraendo loro uno spazio, ma lo aveva riconquistato, per restituirglielo. Così, la moderatrice del dibattito a cui ho assistito accusava, con tanto di indice puntato contro l'adiacente Palacio nacional, il governo dei suoi misfatti: politiche liberali, corruzione, controllo dei media, tutte tematiche che potrebbero trasferirsi (con tutte le differenze del caso) dall'altra parte dell'Atlantico.
Una società civile messicana
Ma quello che voglio mettere in evidenza è piuttosto l'atteggiamento con cui questi problemi venivano trattati; una chiarezza e una forte criticità contraddistinguevano il dibattito. E non solo da parte degli intellettuali (la parola è mia e serve a riassumere i vari casi di figura presenti al dibattito, principalmente scrittori e giornalisti) che intervenivano, ma anche e soprattutto da parte del pubblico, cioè della gente, che non era lì nella posizione di qualcuno che ascolta per imparare cose, per aspettare la parola riveltrice, di un Travaglio o di un Grillo, ad esempio. La gente era la sede stessa della critica e ritmava gli interventi con commenti, grida, applausi, ironie. Un pubblico numeroso e che reagiva, attivo e attento soprattutto al dibattito sulla strategie di uscita: che fare? Come creare un'informazione libera? Quali mezzi (Internet, una nuova televisione popolare)? Come ribaltiamo il potere in questo paese? Cose concrete insomma, non pugnette.
Cose pubbliche. Al punto che uno degli intellettuali ha dato vita ad un intervento direttamente in interazione con il pubblico, parlando di una starlette della televesione messicana (Laura Bozzo) che, oltre ad avere problemi giudiziari con il suo paese di origine (non so più se il Cile o il Perù), ha approfittato degli uragani per girare alcune immagini sensazionalistiche di lei in elicottero mostrando la catastrofe ai telespettatori. Ebbene, di quella presa in giro, di quella critica, di quell'ironia l'intellettuale non era il solo autore. Era nell'interazione, nello scambio di battute tra il pubblico e l'intellettuale che la critica prendeva forma: un momento in cui una comunità proponeva un riferimento comune e ne dibatteva, divertendosi, per apportare una critica più ampia (ai media specialmente).
È lì, in questa interazione a partire da riferimenti comuni, che ho avuto l'impressione dell'esistenza di una società civile messicana, che ha dei valori comuni di referimento, delle conoscenze di riferimento, e che in base a questi valori comuni realizza un dibattito sull'attualità (e non solo) che ha un senso. Senso che, invece, mi sembra mancare profondamente nel dibattito pubblico europeo, quando questo senso comune non si limiti all'indignazione e, d'altra parte, fatti salvi alcuni piccoli circoli generalmente ritenuti minoritari o estremistici. Esiste, in Europa e in Italia in particolare, una società civile? Saremmo pronti a fare un dibattito pubblico, sotto un tendone enorme, a piazza Colonna o Venezia, per esempio, criticando a voce alta i vari Vespa, De Filippi, Costanzo, Floris... Oppure ce li avremmo proprio sul palco?
La Lucha libre
Cambiamo argomento, pur restando su questa problematica del pubblico come sede di un'azione sociale. Passiamo però allo spettacolo. Uno degli sport/spettcaoli più seguiti dai messicani è la lucha libre, la lotta libera, una sorta di wrestling messicano. Sul ring, due squadre si affrontano. Da una parte i rudos, che non rispettano le regole del gioco e la cui brutalità non ha altro scopo che distruggere l'avversario e vincere. Dall'altro, i tecnicos, molto più corretti e onesti. Sui gradoni dell'arena, famiglie e bambini tifano tendenzialmente per questi ultimi, mentre impiegati sottomessi a una gerarchia durante la settimana tiferanno più volentieri per i primi. Le due squadre incarnano così due principi basilari della vita sociale: rispetto delle regole e del vivere insieme contro volontà di sopraffazione. I tecnicos, per fortuna, vincono più spesso. Ma in fondo tutti sanno che si tratta soltanto di una finzione e che le due squadre non si picchiano realmente: è uno spettacolo. E il vero protagonista dell spettacolo non sono i luchadores, ma il pubblico, che interagisce con loro, gli parla, li incita, tifa. E, soprattutto, lo show, il fatto che la lotta sia una finzione, permette al pubblico, alla società, di riconciliarsi, di riconoscersi in ambedue i principi, di mentenersi in equilibrio tra rispetto della vita sociale e egoismo. È, per così dire, una sorta di catarsi. È un'altra prova dell'esistenza di una società civile, di una dimensione pubblica forte nel popolo messicano, dimensione che continuerò a sviluppare nel post successivo, dedicato ai murales.
Un assaggino:
David Alfaro Siqueiros, México por la Democracia y la indipendencia, parte del pannello centrale del trittico Nueva Democracia, 1944-45, al Palacio de Bellas Artes di ittà del Messico. La libertà emerge da un vulcano e spezza le catene.

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